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Comune di Montecarotto
Montecarotto: informazioni turistiche
CENNI GEOGRAFICI
Montecarotto (Montigarò in dialetto locale) è un comune italiano di 2.141 abitanti della provincia di Ancona nelle Marche.L'origine del toponimo montecarotto dovrebbe avere ha la sua antica etimologia in Mons Arcis Ruptae cioè Monte della Rocca distrutta, rimandando con tale denominazione all'antica Rocca del castello che era situata nell'area dove ora sorge la chiesa parocchiale, distrutta in qualche evento bellico in un imprecisato momento storico, probabilmente intorno al mille.In antichi documenti del sec XIV è nominato anche come Monte Arcarotte o anche Monte Carrocto.Tommaso Baldassini invece nel volume Notizie Historiche della Regia città di Jesi ,Jesi,1703 spiega la strana etimologia con il fatto che il castello ha la forma di un grande carro è che anticamente avesse come insegna un carro pieno di spighe in segno di abbondanza.Meno bella ma documentata dal Borgianni nel volume Scariotto, patria di Giuda nella Marca anconitana è di spiegare l'etimologia di Montecarotto da Mons Iscariote cioè il paese di Giuda, il traditore del Cristo che poi si impiccò a un albero di fico e di cui secondo la leggenda a montecarotto si conserverebbe l'albero.Da notare che sino a gran parte del sec XIX il nome di montecarotto era sempre stato scritto con due parole distaccate: Monte e Carotto.E' solo durante il periodo napoleonico che il nome viene unito per la prima volta.Dagli inizi del novecento Montecarotto è diventato di uso comune in atti pubblici e privati.
CENNI STORICI
Montecarotto ha un territorio comunale di kmq. 24,08 a cavallo della serie di colline che dividono le vallate dell'Esino e del Misa, nella zona subappennina della Provincia di Ancona, ed è incluso nei confini della Diocesi di Jesi e del suo Mandamento. Entra a far parte della storia documentata a cominciare dai primi decenni del secolo XIII. Se infatti il suo toponimo allude ad una antica rocca diruta (Mons Arcis Ruptae) posta a difesa di una località strategicamente importante, della cui esistenza attestano tuttora i resti su cui è costruita la chiesa collegiata del paese, nulla peraltro è possibile dire sull'epoca e a chi detta rocca debba attribuirsi. Pertanto non è possibile avanzare ipotesi sulla esistenza di questo centro nel basso Medio Evo. Si possono invece cogliere e seguire indizi che alludono a presenze e influenze bizantine e longobarde nel territorio (che fu poi montecarottese), presenze che preannunciano il sorgere di quegli insediamenti di cui si avranno memorie e prove nei secoli successivi al Mille. L'influenza longobarda è suggerita sia dal non lontano Gastaldato di Castel Petroso (= l'attuale Pierosara), punta avanzata del Ducato di Spoleto, - da cui i Longobardi sfociarono per qualche decennio, sul finire del sec. VI, nella Vallesina -, sia, e più ancora, dalla toponomastica (rimasta sino ai secoli a noi più vicini, nei territori che poi formeranno la Pieve di Montecarotto), e dai Santi, oggetto del culto longobardo, venerati negli stessi territori. I Bizantini invece controllarono per più secoli gran parte della Vallesina, terra di confine con il territorio longobardo: giova tenere sempre presente questo dato storico. Notizie più precise di Montecarotto si hanno nel momento in cui dalle nebbie del Medio Evo emerge la realtà della Pieve omonima (- una delle sette esistenti nel territorio diocesano di Jesi, con i suoi castelli - primo fra tutti quello appunto di Montecarotto -) delle sue "ville" e delle numerose chiese. (Per Pieve si intende un territorio su cui esercitava la giurisdizione ecclesiastica la chiesa più importante del territorio stesso, dotata di fonte battesimale, detta appunto "pieve", dalla quale dipendevano le altre chiese parrocchiali sparse nell'ambito della circoscrizione, che provvedevano alla cura spirituale delle popolazioni ivi residenti). La Pieve di Montecarotto, se non la più importante della Diocesi di Jesi, era certamente la più vasta, estendendosi per quasi 60 kmq., comprendente gli attuali territori comunali di Montecarotto, Poggio San Marcello, Castelplanio e Rosora. In questo territorio si riscontrano, dopo il Mille, i Castelli di Montecarotto, di Colmontano, di Rosora, di Poggio San Marcello e di Castel del Piano; le ville, o villaggi rurali di Santa Mustiola, Tessenaria, Loretello, San Benedetto, San Biagio; alcuni "castellari", 18 chiese, di cui 12 parrocchiali. La molteplicità di questi insediamenti dice della consistenza demografica (e sociale) di questo territorio facente capo a Montecarotto, e che venne ampliato, verso la meta del sec. XIV, con alcune contrade di Serra dei Conti, della Diocesi di Senigallia, (alla cui giurisdizione vescovile, secondo alcuni studiosi, anche Montecarotto, per qualche tempo, sarebbe stato soggetto). In questo stesso territorio però il Vescovo di Jesi aveva vasti possedimenti su cui esercitò il potere feudale sino alla fine del sec. XIII. Mentre il castello dominava la sommità della collina, (al cui centro era la Rocca) la chiesa plebana era ancora posta fuori della cerchia muraria castellana. E' del 1248 la prima notizia storica del paese, quando il Card. Raniero, Vicario del Papa confermò il possesso del castello al Comune di Jesi, impegnato alla conquista del Contado, in conformità ad una donazione fatta in precedenza da re Enzo, il figlio di Federico II. Intanto l'evolversi della situazione politica portava alla nuova configurazione amministrativa del Contado: nell'ambito della antica Pieve si formarono i quattro Castelli di Montecarotto, di Castelplanio, Poggio San Marcello e Rosora, con propri organi amministrativi e circoscrizione ecclesiastica autonoma. Il sec. XIV e la prima metà del XV furono segnati dalle drammatiche vicende delle Signorie che significarono per l'intero Contado, insieme a tragiche calamità naturali - pestilenze, carestie, terremoti - immani sventure; al termine di quel periodo però Montecarotto emerge sia quale parrocchia, sede più importante della zona, (divenendo poi, giuridicamente, una delle quattro Vicarie Foranee della Diocesi) sia come Castello, facente parte del Contado di Jesi, quale centro sempre più importante per numero di abitanti e per le sue istituzioni amministrative, religiose, culturali ed artistiche. In quello stesso periodo la nuova chiesa parrocchiale venne costruita entro le mura castellane, e il suo campanile eretto sulle fondazioni della antica rocca distrutta. Li realizzò entrambi la comunità montecarottese, che pertanto rivendicò sempre il giuspatronato su detta chiesa. Splendida la cinta muraria edificata nel 1509 su disegno dell'architetto Albertino di Giacomo da Cremona; molte le opere d'arte che arricchiscono le chiese del paese, tra cui notevoli quelle del Ramazzani ed Antonuccio da Jesi. Nel sec. XVII sorgeva il Convento di San Francesco; molte altre chiese vennero costruite nel paese e nelle campagne attigue; sorgeva anche il monastero femminile delle Carmelitane accanto alla chiesa della Madonna delle Grazie, ricostruita all'inizio del sec. XVIII. Si sviluppavano anche i due Borghi fuori della cinta muraria. Al posto degli antichi patroni del paese San Filippo e San Giacomo, nel sec. XVII prendeva sopravvento il culto di San Placido, confuso peraltro con il discepolo di San Benedetto; San Floriano riceveva nel luogo vasto culto - lo attestano le ripetute immagini del Santo patrono dello "Stato di Jesi" -. E nel giorno della festa del Santo, il 4 maggio, anche Montecarotto inviava a Jesi il suo rappresentante per presentare il Pallio del paese; mentre per Jesi questo indicava soggezione del Castello alla città egemone, per il paese significava solo un atto di culto al Santo e di fraternità con la comunità cittadina. Sul finire del sec. XVII lo "Stato" di Jesi assumeva una nuova forma istituzionale con il "Governo libero" retto da un Governatore dipendente direttamente da Roma; questi però condizionano sempre maggiormente le autonomie sia dei singoli Castelli, sia del Consiglio Generale di Città e Contado che ufficialmente continuò a reggere e a guidare la politica amministrativa della comunità jesina, senza peraltro poter effettivamente essere il vero arbitro della vita politica locale. Per di più, tra le due componenti della comunità, Città e Contado, sempre più tesi diventarono i rapporti, e Montecarotto divenne uno dei castelli leader nella lotta contro la prepotenza cittadina. Il sec. XVIII, in conseguenza della intelligente politica granaria stabilita dai Pontefici, nuova ricchezza venne affluendo in tutta la Vallesina, e anche a Montecarotto. Ne sono testimonianza le grandi realizzazioni edilizie di quel secolo, quale la nuova Chiesa Collegiata su disegno di Pietro Belli, la canonica su progetto di Mattia Capponi, le nuove chiese della Madonna delle Grazie, della Madonna del Popolo, ed altre ancora nel territorio montecarottese, come pure notevoli palazzi gentilizi. Sul finire del secolo il Comune contava 2537 abitanti. L'irruzione francese significò il globale rivolgimento del secolare assetto politico della Vallesina. L'importanza di Montecarotto ebbe il riconoscimento quando il paese venne elevato alla condizione di Cantone, unico tra i Castelli della Vallesina. Nel 1808, con la costituzione del Regno d'Italia napoleonico, cessava definitivamente l'antico rapporto tra Jesi e i Castelli del Contado che acquistavano autonomia amministrativa, confermata anche nel momento del ritorno del Governo Pontificio. L'annessione delle Marche al Regno d'Italia nel 1860 significò ancora ulteriore riconoscimento dell'importanza di Montecarotto, che sul finire del secolo XIX superava i 3000 abitanti (di cui due terzi in campagna ove era dominante la mezzadria) divenendo capoluogo di Mandamento, nella cui giurisdizione erano i comuni di Serra dei Conti, Poggio San Marcello, Castelplanio, Mergo e Rosora. Una pretura, le carceri, l'archivio notarile, l'esattoria consorziale erano le espressioni di questa preminenza amministrativa. Palazzi signorili, di notevole prestigio, un bel teatro, l'ospedale, realizzato nell'ex convento di San Francesco da cui erano stati cacciati i frati francescani, le scuole, la caserma dei Carabinieri, il macello, la pescheria sono opere pubbliche che caratterizzano la fine del sec. XIX, indicando un paese prospero e di sicuro avvenire. La popolazione si avvicinava alle 3500 unità! Poi seguirono la grande rivoluzione sociale del secondo dopoguerra e la crisi dei Comuni che non hanno sbocco nella pianura, mentre entrava in crisi irreversibile anche l'agricoltura, con lo spopolamento delle campagne, e il grande esodo della popolazione che riduceva drasticamente gli abitanti del Comune. Anche l'Ospedale era sacrificato alla nuova politica sanitaria. Ma resta sempre la dignità del paese e della sua gente, la volontà di continuare nell'antica mai rinnegata tradizione. La autentica vocazione agricola, l'alta qualità del Verdicchio, oltre alla volontà della gente marchigiana, laboriosa, e mai rassegnata a rinunciare alla lotta, sono sicuri fattori di un avvenire che non vuole rinnegare il passato.
DA VISITARE
Montecarotto è un comune di 2.141 abitanti. La collina di Montecarotto fin dall'origine fu luogo di confine e di incontro tra il territorio di Senigallia e quelli di Jesi. Pur avendo acquisito da molti secoli la connotazione di uno dei sedici castelli del Contado i Jesi, Montecarotto rappresenta idealmente l'incontro tra la vallata dell'Esino e quella del Misa. Il Panorama che si ammira dalle mura di questa cittadina è splendido: lo sguardo è in grado di abbracciare quasi tutta la provincia di Ancona, accarezzando le vallate di fiumi sino ad incontrare le cime appenniniche e la Gola della Rossa.Palazzo comunale Mura castellane Museo civico e della mail art Palazzo Baldoni Torrione dell'orologio Teatro comunale Le antiche fonti pubbliche Architetture religiose [modifica] Chiesa Collegiata della Santissima Annunziata [modifica] Chiesa Collegiata della Santissima Annunziata di MontecarottoL'antica chiesa plebana di Montecarotto dedicata alla Madonna fin dal XIII secolo, un tempo fuori dalle mura castellane, venne ricostruita una prima volta nel '400 dentro il pomerio,nel punto più alto del colle ove un tempo si elevava la rocca.Nel 1490 il Vescovo Tommaso Ghislieri consacra la nuova chiesa probabilmente in sostituzione della precedente del XIII - XIV scolo.Nella seconda meta del '700 la vecchia chiesa plebana viene demolita di nuovo per il grave e fatiscente stato di consevazione e si preferisce la totale ricostruzione ad un intervento di restauro della chiesa vecchia di trecento anni.Il progetto viene affidato vista la sua complessità, al domenicano padre Pietro Belli, che nel 1779 inizia i lavori che proseguono fino al 1803 anno della consacrazione da parte del Vescovo di macerata San Vincenzo Maria Strambi, sebbene la chiesa fosse già officiata da diversi anni.La facciata invece viene ultimata nel 1807.La chiesa, costruita in laterizio è a croce latina ad una sola navata in stile neoclassico con influssi barocchi misura in lunghezza m.32,5; m.29.25 nel transetto, m.10 in larghezza nel corpo della chiesa, m.16,2 in altezza. All'interno nel presbiterio sopra il coro ligneo realizzato in noce e intagliato opera del maestro intagliatore Marcantonio Polidori di San Lorenzo in Campo si leva la tela dell' Annunciazione della vergine del sec. XVII di autore ignoto. Il catino dell'abside è stato affrescato nel 1950 per iniziativa del parroco di allora, dal pittore Frà Ernesto Bergagna della scuola Beato Angelico di Milano con l'immagine dominanante del Cristo Pancreator. L'altare maggiore di scagliola opera di Michele Rusconi di Lugano conserva il vecchio palliotto di marmi policromi di stile cosmatesco. A sinistra dell'altare maggiore,nel braccio del transetto, si trova l'altare della Madonna dell'antica confraternita del Gonfalone,realizzato in scagliola in stile barocco su disegno di Arcangelo Vici padre di Andrea Vici,mentre nella parte opposta si colloca l'altare del sacramento,anche esso in scagliola e di stile barocco opera di Giuseppe Scala di milano.La pala d'altare rappresenta L'ultima Cena ed è opera di inizio 600 di Giambattista di Rocca Contrada. Lungo la navata si trovano quattro altari posti all'interno di nicchie, realizzate entro lo spessore del muro.Il primo altare entrando sulla sinistra è dedicato a San Carlo Borromeo;di fronte l'attuale altare del battistero anticamente dedicato alla Natività.A sinistra l'altare successivo è dedicato al Sacro cuore:a destra l'altare dedicato al Cuore Immacolato di Maria in origine era dedicato all'Immacolata Concezione e probabimente vi era conservata la Madonna Immacolata - Angeli e Santi di Antonuzzo da jesi ora nel museo diocesano di jesi. Attigua alla chiesa nel 1792 è stata edificata la canonica su disegno di Isidoro Capponi.
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